martedì 28 novembre 2023

Breve storia degli orti scolastici nella scuola italiana (tratto da "L'orto delle meraviglie", Pisa 2015)

Da tempo conduco una ricerca sugli orti scolastici e sulla loro storia. E’ una ricerca di certo non sistematica e, soprattutto, difficile, sia perché le notizie sono frammentarie, sia perché molte esperienze trovano poco interesse a raccontarsi, se non su una scala geografica locale.

E' un vero colpo di fortuna quello che mi ha fatto incontrare Fabrizio Bertolino, un pedagogista dell'Università della Valle d'Aosta col quale è nata un'istintiva ed immediata collaborazione. Tra i frutti di tale collaborazione c'è un piccolo omaggio composto da un centinaio di fotocopie che riproducono il Manuale Hoepli dal titolo Il campicello scolastico.

Esso è il risultato del concorso con “premio in danaro e Medaglia d'argento” del Ministero della Istruzione Pubblica dal titolo “Istruzioni pratiche ai Maestri rurali sull'impianto e la tenuta del campicello scolastico” con scadenza il 31 maggio 1905 e costituisce, per quanto ne so, l'ultimo, se non l'unico, tentativo istituzionale di dare forma organica ad un progetto di orticoltura scolastica su base nazionale. Di diversa natura è il tentativo messo in atto col recente PON Edugreen col quale si è tentato di promuovere il tema della transizione ecologica nel mondo della scuola anche attraverso la realizzazione di orti scolastici.

Azimonti e Campi, autori del libro, si cimentano nella scrittura con un obiettivo ben preciso: “determinare un sensibile sviluppo dell'agricoltura razionale, quella che fa guadagnare molti quattrini”. Lo fanno cercando di introdurre nella società rurale i principi dell'agricoltura moderna rivolgendosi “alla mente facilmente impressionabile del fanciullo” che viene utilizzata come canale privilegiato col fine di avere, in un futuro prossimo, “dei coloni meno restii all'adozione di sistemi” di coltivazione “veramente razionali”. L'orientamento produttivistico e l'adozione di tecniche agricole come la concimazione chimica e la difesa antiparassitaria sono così marcati che la pubblicazione è dichiaratamente rivolta ai “Maestri rurali” che hanno la fortuna di disporre di un terreno in cui allestire il campicello scolastico o campo-scuola. Già i maestri rurali privi di tale opportunità sono individuati come coloro ai quali “spetta un compito assai difficile e d'incerta riuscita”, mentre i “Maestri delle scuole urbane”, per dirla in parole semplici ed immediate, sono tagliati fuori. Si sottolinea, infatti, che “dall'insegnamento diretto delle pratiche agricole, poco o nessun profitto potranno trarre allievi che”, vivendo in città, “quasi tutti troveranno occupazione tutt'altro che agricola”.

C'è di più: i fortunati maestri rurali dotati di campicello scolastico dovranno predisporre un vero e proprio campo dimostrativo, “un campo cioè in cui la differenza dei prodotti di 2 parcelle, coltivate in modo vario e poste a confronto, provi la convenienza dell'uso di molte pratiche razionali”, come lavori profondi ed accurati, uso di sementi selezionate, semina in linee, concimazione chimica e difesa contro i parassiti. Seguono una serie di raccomandazioni affinché tali pratiche siano “veramente inconfutabili in fatto di agricoltura progredita” e abbiano come “mira la massima semplicità, congiunta con la certezza del buon esito”. “Su ciò non si può transigere”, affermano i due autori.

Nelle mie ricerche non emerge traccia di progetti aventi una natura organica su scala nazionale fino al 2004 quando Slow Food2, pur al di fuori dal panorama delle istituzioni pubbliche e delle logiche ministeriali, propone il progetto Orto in condotta. Esso si propone come strumento principale delle attività di educazione alimentare e ambientale portate avanti dall’associazione nelle scuole. Come si legge sul sito web di Slow Food (anno 2015), “insieme agli studenti delle scuole, gli insegnanti, i genitori, i nonni e i produttori locali sono gli attori del progetto, costituendo la comunità dell'apprendimento per la trasmissione alle giovani generazioni dei saperi legati alla cultura del cibo e alla salvaguardia dell'ambiente”.

Non sfuggirà ai più attenti che la salvaguardia dell'ambiente oggi passa anche attraverso la rimodulazione di alcune di quelle pratiche razionali che si intendeva introdurre ad inizio '900 e che il motto “buono, pulito e giusto” proposto da Slow Food declina quella redditività economica auspicata ne Il campicello scolastico come un'adeguata redistribuzione delle opportunità di reddito tra tutti i soggetti della filiera produttiva e non certo a vantaggio esclusivo dei proprietari terrieri.

L'Orto in condotta è un progetto di durata triennale “che prevede percorsi formativi per gli insegnanti, attività di educazione alimentare e del gusto e di educazione ambientale per gli studenti e seminari per genitori e nonni ortolani”. L'orto è visto prioritariamente come uno strumento didattico per conoscere il territorio, i suoi prodotti agricoli e le relative tecniche di coltivazione e le sue ricette. Il progetto è un’occasione per incontrare artigiani, produttori e chef della comunità locale. Nel primo anno del progetto gli insegnanti vengono formati sull'orticoltura e sulla scoperta degli alimenti attraverso i sensi. Nel secondo anno, ad orto già avviato, gli insegnanti svolgono attività di educazione ambientale e alimentare in classe e all'aperto. Infine, nel terzo anno sono affrontati temi come la storia dell'alimentazione, i prodotti e il territorio. Agli insegnanti sono forniti strumenti e spunti per realizzare con gli studenti attività di educazione e scoperta delle origini del gusto. Le scuole che aderiscono al progetto entrano a far parte di una rete in cui sono censiti gli oltre 400 orti in condotta italiani.

L’orto scolastico secondo Slow Food deve presentare alcune caratteristiche:

• il terreno deve essere coltivato per tutta la durata del progetto,

• la coltivazione deve essere biologica o biodinamica,

• le varietà coltivate devono essere quelle tipiche del territorio regionale ,

• è vietata la coltivazione di prodotti geneticamente modificati,

• devono essere privilegiati i prodotti che possono essere raccolti e consumati durante l'anno scolastico,

• l'uso dell'acqua deve avere un ruolo didattico, cioè deve essere spiegata agli studenti l'importanza di una gestione oculata di questa risorsa.

Nel progetto Orto in condotta l’orto deve essere realizzato secondo la buona regola dell’arte e non può, per così dire, essere messo in discussione, tanto nella sua fisionomia, quanto nelle regole agronomiche. Inoltre, la priorità è la trasmissione dei saperi connessi all’orto e all’alimentazione. In tutto questo il progetto porta dei validi principi e conoscenze e introduce una bellissima esperienza nella scuola, ma non sembra voler fornire alla scuola un laboratorio a supporto della didattica a 360°.

Anche la Fondazione Campagna Amica, nata nel 2008 su iniziativa dell’organizzazione di rappresentanza degli agricoltori Coldiretti, propone percorsi educativi collegati all’orto, sebbene non strutturati in un progetto organico come quello di Slow Food. Si tratta, invece, di una proposta di attività educative e percorsi di crescita distinti che spaziano dalla fascia di 3-5 anni a quella 14-18 seguendo la progressione degli ordini di scuola da quella dell’infanzia alla scuola superiore. La proposta educativa è imperniata sull’orto e lascia alle scuole che decidono di aderire una certa libertà. L’impronta è, logicamente, connessa in modo sostanziale al fare agricoltura e alla tutela dell’ambiente. L’orto anche in questo caso nasce secondo il rispetto di precise regole agronomiche che, soprattutto a partire dalla scuola primaria, costituiscono un riferimento essenziale del percorso da intraprendere. Progettare l’orto, sapere come si realizza e quali sono le tecniche di coltivazione, conoscere i prodotti locali sono elementi proposti con una certa costanza nei vari percorsi educativi. In questa iniziativa c’è una maggiore attenzione alla scuola e alle proprie esigenze che si concretizza nel tentativo di collegare le attività nell’orto alla didattica ordinaria. Per esempio, per la scuola secondaria di primo grado si propone di stilare un regolamento dell’orto seguendo il percorso che ha condotto alla promulgazione della Costituzione Italiana.

Per facilitare lo svolgimento delle attività nelle scuole è prevista la figura del “personal trainer” di volta in volta incarnata dall’agricoltore, dall’agronomo o da un educatore. Nell’opuscolo “Orto amico a scuola – imparare e crescere dalla terra” si forniscono anche alcune indicazioni di natura pratica su come realizzare l’orto.

Anche alcune associazioni ambientaliste, come Legambiente e WWF, talora con specifiche iniziative o varianti regionali, propongono l’orto a scuola come strumento di educazione ambientale e alimentare. Particolare attenzione viene posta alla capacità dell’orto scolastico di fungere da strumento per interpretare e capire la relazione tra uomo e territorio. L’approccio educativo dell’associazionismo ambientalista si traduce, spesso, in una proposta che valorizza molto l’uso dell’orto a supporto dell’area disciplinare delle scienze. In alcune pubblicazioni, come L’orto biologico a scuola nato da una collaborazione tra WWF e Regione Marche, sono proposte numerose esperienze da realizzare a scuola che vanno in questa direzione, così come suggerimenti utili ad accogliere animali selvatici negli spazi scolastici.

I progetti di Slow Food, Campagna Amica e delle associazioni ambientaliste mostrano profonde differenze con l'impostazione di Azimonti e Campi: per questi autori la scuola target era quella rurale dotata di terreni posti almeno nelle vicinanze mentre oggi l'orto scolastico massimizza la propria utilità nelle scuole urbane o, comunque, laddove lo stile di vita sia fortemente urbano, cosa da cui non sono indenni le comunità rurali. Tale mutamento è connesso al forte distacco tra il momento della produzione del cibo e quello del consumo. C’è anche la consapevolezza che, se dalla città proverranno dei non agricoltori coinvolti nel processo decisionale delle comunità, è fondamentale che essi abbiano idee ben chiare sull'origine del cibo e su quali siano le condizioni necessarie per produrlo. Detto con parole più semplici, è bene che l'orto scolastico insegni qualcosa anche a chi sarà l'ingegnere, l'architetto, l'assessore, il ministro o l'insegnante del futuro.

Come avrete notato, le iniziative ministeriali sembrano essere scomparse e, forse, è proprio così. Mentre scrivo (2015) non c’è niente di più ufficiale di una pagina del sito web del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali in cui si annuncia il progetto Orti nelle scuole per l’anno scolastico 2014-2015. Esso dovrebbe coinvolgere le scuole dell’infanzia e primarie e puntare a promuovere una sana e corretta alimentazione. Non sembra poter aggiungere molto alle iniziative già descritte e, soprattutto, pare in grande ritardo.

Per quanto riguarda le indicazioni nazionali, la mia ricerca ha prodotto ben poco, almeno con riferimento diretto all’orto.

Nelle indicazioni didattiche per la scuola dell’infanzia (D.M. 3 giugno 1991) si sottolinea come “i bambini soddisfano i loro bisogni esplorativi e le loro possibilità conoscitive (…) svolgendo attività che uniscono alla valenza scientifica un particolare carattere motivante come, ad esempio, le attività di cucina, le esperienze di fisica elementare con materiali diversi, le attività di interesse biologico (semine, coltivazioni di piante e, in particolare, osservazioni e riflessioni sugli animali, valorizzando con ciò la naturale tendenza affettiva dei bambini)”.

Nelle indicazioni didattiche per la scuola primaria del D.P.R. 12 febbraio 1985, n 104 c’è un riferimento a non meglio qualificate coltivazioni scolastiche. Esse sono citate in questi due passaggi:

• “Un frequente regolare controllo delle coltivazioni e degli allevamenti scolastici ed extrascolastici, esplorazioni ambientali in autunno, inverno, primavera, estate, semplici esperimenti metteranno in evidenza le fondamentali condizioni per lo sviluppo e la conservazione della vita”

• “Sarà utile compiere brevi escursioni, preparate e guidate, in vari ambienti e nelle varie stagioni, nonché riprodurre piccole comunità naturali e curare allevamenti e coltivazioni, sia pure di modesta entità”.

Nelle “Indicazioni nazionali per il curriculo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione” del 2012, invece, tra gli obiettivi di apprendimento della classe quinta della scuola primaria si trova il seguente: “riconoscere, attraverso l’esperienza di coltivazioni, allevamenti, ecc., che la vita di ogni organismo è in relazione con le altre e differenti forme di vita”. Niente di simile sembra esservi, invece, per quanto riguarda gli altri ordini e gradi della scuola.

Interessante, invece, è quanto sta accadendo in alcune regioni, come le Marche e la Lombardia, che, pur secondo percorsi diversi, finanziano la nascita di orti scolastici e propongono iniziative di formazione a ciò finalizzate.

In particolare, la Regione Lombardia finanzia gli orti didattici permanenti nelle scuole, dall'infanzia alle secondarie di primo e secondo grado, che si impegnano ad ospitare nei propri spazi esterni e ad utilizzare nella programmazione didattica per cinque anni un orto di almeno 30 mq. Ad un sostegno economico per la realizzazione dei progetti si aggiunge un servizio di accompagnamento da parte dell'ERSAF consistente nella realizzazione e gestione dell'orto e nella fornitura di serra, composter, armadio per attrezzi e impianto di irrigazione.

La Regione Marche, invece, ha attivato il progetto “Ortoincontro” al quale ho la fortuna di poter contribuire. Il progetto prevede varie azioni di sostegno per la realizzazione di orti urbani e scolastici, oltre a un percorso di orticoltura in carcere. Per le scuole sono previste due azioni: un contributo economico per la realizzazione degli orti con l’impiego di specie e varietà del repertorio della biodiversità agraria regionale e uno specifico corso di formazione per insegnanti ed educatori. Quest’ultimo mira a fornire conoscenze frutto tanto di alcune eccellenze marchigiane, quanto esperienze di altre regioni.

E il futuro degli orti scolastici?

A dire il vero, io ritengo del tutto anacronistico parlare di orto scolastico preferendo l'espressione orticoltura didattica a scuola. Essa va intesa come uso dell'orto e delle sue tecniche per insegnare e apprendere a 360°, andando oltre le regole agronomiche, l’educazione alimentare e ambientale, pur senza perderle di vista. L'orto scolastico, talora declinato in forme che quasi lo rendono irriconoscibile, diventerà così un laboratorio all’aria aperta in cui riunire i saperi che la scuola isola in discipline diverse per poterli ri-assortire, valorizzare e utilizzare secondo schemi nuovi e supportati dall'immediata applicazione dei saperi stessi. Quando dico saperi non intendo semplici nozioni, ma un patrimonio di sapere, saper fare e saper essere che credo essere uno dei contenuti minimi del bagaglio culturale dei nostri figli in vista del futuro. Passare dal fare l’orto a fare orticoltura didattica a scuola potrà essere una delle innovazioni fondamentali nel rapporto tra orto e scuola. E’ su questo terreno che mi muovo da anni.

C'è un ultimo tassello da aggiungere: le “mie” esperienze di orticoltura didattica a scuola vogliono perdere l'aggettivo possessivo e divenire condivise. E' per questo che è nato il sito www.ortiscolastici.it, che esiste una pagina Facebook dedicata (www.facebook.com/OrtiScolastici) e che continuo a fare i più disparati sforzi per diffondere l'esperienza che porto avanti insieme a tanti amici. Questa, io credo, dovrà essere una delle strategie del futuro: i progetti che portano gli orti nelle scuole non potranno rimanere esperienze circoscritte, ma dovranno trovare nella condivisione e in una certa creatività dei percorsi il proprio fondamento.