Da tempo conduco una ricerca sugli orti scolastici e sulla loro
storia. E’ una ricerca di certo non sistematica e, soprattutto,
difficile, sia perché le notizie sono frammentarie, sia perché
molte esperienze trovano poco interesse a raccontarsi, se non su una
scala geografica locale.
E' un vero colpo di
fortuna quello che mi ha fatto incontrare Fabrizio Bertolino, un
pedagogista dell'Università della Valle d'Aosta col quale è nata
un'istintiva ed immediata collaborazione. Tra i frutti di tale
collaborazione c'è un piccolo omaggio composto da un centinaio di
fotocopie che riproducono il Manuale Hoepli dal titolo Il campicello
scolastico.
Esso è il risultato
del concorso con “premio in danaro e Medaglia d'argento” del
Ministero della Istruzione Pubblica dal titolo “Istruzioni pratiche
ai Maestri rurali sull'impianto e la tenuta del campicello
scolastico” con scadenza il 31 maggio 1905 e costituisce, per
quanto ne so, l'ultimo, se non l'unico, tentativo istituzionale di
dare forma organica ad un progetto di orticoltura scolastica su base
nazionale. Di diversa natura è il tentativo messo in atto col recente PON Edugreen col quale si è tentato di promuovere il tema della transizione ecologica nel mondo della
scuola anche attraverso la realizzazione di orti scolastici.
Azimonti e Campi,
autori del libro, si cimentano nella scrittura con un obiettivo ben
preciso: “determinare un sensibile sviluppo dell'agricoltura
razionale, quella che fa guadagnare molti quattrini”. Lo fanno
cercando di introdurre nella società rurale i principi
dell'agricoltura moderna rivolgendosi “alla mente facilmente
impressionabile del fanciullo” che viene utilizzata come canale
privilegiato col fine di avere, in un futuro prossimo, “dei coloni
meno restii all'adozione di sistemi” di coltivazione “veramente
razionali”. L'orientamento produttivistico e l'adozione di tecniche
agricole come la concimazione chimica e la difesa antiparassitaria
sono così marcati che la pubblicazione è dichiaratamente rivolta ai
“Maestri rurali” che hanno la fortuna di disporre di un terreno
in cui allestire il campicello scolastico o campo-scuola. Già i
maestri rurali privi di tale opportunità sono individuati come
coloro ai quali “spetta un compito assai difficile e d'incerta
riuscita”, mentre i “Maestri delle scuole urbane”, per dirla in
parole semplici ed immediate, sono tagliati fuori. Si sottolinea,
infatti, che “dall'insegnamento diretto delle pratiche agricole,
poco o nessun profitto potranno trarre allievi che”, vivendo in
città, “quasi tutti troveranno occupazione tutt'altro che
agricola”.
C'è di più: i
fortunati maestri rurali dotati di campicello scolastico dovranno
predisporre un vero e proprio campo dimostrativo, “un campo cioè
in cui la differenza dei prodotti di 2 parcelle, coltivate in modo
vario e poste a confronto, provi la convenienza dell'uso di molte
pratiche razionali”, come lavori profondi ed accurati, uso di
sementi selezionate, semina in linee, concimazione chimica e difesa
contro i parassiti. Seguono una serie di raccomandazioni affinché
tali pratiche siano “veramente inconfutabili in fatto di
agricoltura progredita” e abbiano come “mira la massima
semplicità, congiunta con la certezza del buon esito”. “Su ciò
non si può transigere”, affermano i due autori.
Nelle mie ricerche
non emerge traccia di progetti aventi una natura organica su scala
nazionale fino al 2004 quando Slow Food2, pur al di fuori dal
panorama delle istituzioni pubbliche e delle logiche ministeriali,
propone il progetto Orto in condotta. Esso si propone come strumento
principale delle attività di educazione alimentare e ambientale
portate avanti dall’associazione nelle scuole. Come si legge sul
sito web di Slow Food (anno 2015), “insieme agli studenti delle scuole, gli
insegnanti, i genitori, i nonni e i produttori locali sono gli attori
del progetto, costituendo la comunità dell'apprendimento per la
trasmissione alle giovani generazioni dei saperi legati alla cultura
del cibo e alla salvaguardia dell'ambiente”.
Non sfuggirà ai più
attenti che la salvaguardia dell'ambiente oggi passa anche attraverso
la rimodulazione di alcune di quelle pratiche razionali che si
intendeva introdurre ad inizio '900 e che il motto “buono, pulito e
giusto” proposto da Slow Food declina quella redditività economica
auspicata ne Il campicello scolastico come un'adeguata
redistribuzione delle opportunità di reddito tra tutti i soggetti
della filiera produttiva e non certo a vantaggio esclusivo dei
proprietari terrieri.
L'Orto in condotta è
un progetto di durata triennale “che prevede percorsi formativi per
gli insegnanti, attività di educazione alimentare e del gusto e di
educazione ambientale per gli studenti e seminari per genitori e
nonni ortolani”. L'orto è visto prioritariamente come uno
strumento didattico per conoscere il territorio, i suoi prodotti
agricoli e le relative tecniche di coltivazione e le sue ricette. Il
progetto è un’occasione per incontrare artigiani, produttori e
chef della comunità locale. Nel primo anno del progetto gli
insegnanti vengono formati sull'orticoltura e sulla scoperta degli
alimenti attraverso i sensi. Nel secondo anno, ad orto già avviato,
gli insegnanti svolgono attività di educazione ambientale e
alimentare in classe e all'aperto. Infine, nel terzo anno sono
affrontati temi come la storia dell'alimentazione, i prodotti e il
territorio. Agli insegnanti sono forniti strumenti e spunti per
realizzare con gli studenti attività di educazione e scoperta delle
origini del gusto. Le scuole che aderiscono al progetto entrano a far
parte di una rete in cui sono censiti gli oltre 400 orti in condotta
italiani.
L’orto scolastico
secondo Slow Food deve presentare alcune caratteristiche:
• il terreno
deve essere coltivato per tutta la durata del progetto,
• la
coltivazione deve essere biologica o biodinamica,
• le varietà
coltivate devono essere quelle tipiche del territorio regionale ,
• è vietata
la coltivazione di prodotti geneticamente modificati,
• devono
essere privilegiati i prodotti che possono essere raccolti e
consumati durante l'anno scolastico,
• l'uso
dell'acqua deve avere un ruolo didattico, cioè deve essere spiegata
agli studenti l'importanza di una gestione oculata di questa risorsa.
Nel progetto Orto in
condotta l’orto deve essere realizzato secondo la buona regola
dell’arte e non può, per così dire, essere messo in discussione,
tanto nella sua fisionomia, quanto nelle regole agronomiche. Inoltre,
la priorità è la trasmissione dei saperi connessi all’orto e
all’alimentazione. In tutto questo il progetto porta dei validi
principi e conoscenze e introduce una bellissima esperienza nella
scuola, ma non sembra voler fornire alla scuola un laboratorio a
supporto della didattica a 360°.
Anche la Fondazione
Campagna Amica, nata nel 2008 su iniziativa dell’organizzazione di
rappresentanza degli agricoltori Coldiretti, propone percorsi
educativi collegati all’orto, sebbene non strutturati in un
progetto organico come quello di Slow Food. Si tratta, invece, di una
proposta di attività educative e percorsi di crescita distinti che
spaziano dalla fascia di 3-5 anni a quella 14-18 seguendo la
progressione degli ordini di scuola da quella dell’infanzia alla
scuola superiore. La proposta educativa è imperniata sull’orto e
lascia alle scuole che decidono di aderire una certa libertà.
L’impronta è, logicamente, connessa in modo sostanziale al fare
agricoltura e alla tutela dell’ambiente. L’orto anche in questo
caso nasce secondo il rispetto di precise regole agronomiche che,
soprattutto a partire dalla scuola primaria, costituiscono un
riferimento essenziale del percorso da intraprendere. Progettare
l’orto, sapere come si realizza e quali sono le tecniche di
coltivazione, conoscere i prodotti locali sono elementi proposti con
una certa costanza nei vari percorsi educativi. In questa iniziativa
c’è una maggiore attenzione alla scuola e alle proprie esigenze
che si concretizza nel tentativo di collegare le attività nell’orto
alla didattica ordinaria. Per esempio, per la scuola secondaria di
primo grado si propone di stilare un regolamento dell’orto seguendo
il percorso che ha condotto alla promulgazione della Costituzione
Italiana.
Per facilitare lo
svolgimento delle attività nelle scuole è prevista la figura del
“personal trainer” di volta in volta incarnata dall’agricoltore,
dall’agronomo o da un educatore. Nell’opuscolo “Orto amico a
scuola – imparare e crescere dalla terra” si forniscono anche
alcune indicazioni di natura pratica su come realizzare l’orto.
Anche alcune
associazioni ambientaliste, come Legambiente e WWF, talora con
specifiche iniziative o varianti regionali, propongono l’orto a
scuola come strumento di educazione ambientale e alimentare.
Particolare attenzione viene posta alla capacità dell’orto
scolastico di fungere da strumento per interpretare e capire la
relazione tra uomo e territorio. L’approccio educativo
dell’associazionismo ambientalista si traduce, spesso, in una
proposta che valorizza molto l’uso dell’orto a supporto dell’area
disciplinare delle scienze. In alcune pubblicazioni, come L’orto
biologico a scuola nato da una collaborazione tra WWF e Regione
Marche, sono proposte numerose esperienze da realizzare a scuola che
vanno in questa direzione, così come suggerimenti utili ad
accogliere animali selvatici negli spazi scolastici.
I progetti di Slow
Food, Campagna Amica e delle associazioni ambientaliste mostrano
profonde differenze con l'impostazione di Azimonti e Campi: per
questi autori la scuola target era quella rurale dotata di terreni
posti almeno nelle vicinanze mentre oggi l'orto scolastico massimizza
la propria utilità nelle scuole urbane o, comunque, laddove lo stile
di vita sia fortemente urbano, cosa da cui non sono indenni le
comunità rurali. Tale mutamento è connesso al forte distacco tra il
momento della produzione del cibo e quello del consumo. C’è anche
la consapevolezza che, se dalla città proverranno dei non
agricoltori coinvolti nel processo decisionale delle comunità, è
fondamentale che essi abbiano idee ben chiare sull'origine del cibo e
su quali siano le condizioni necessarie per produrlo. Detto con
parole più semplici, è bene che l'orto scolastico insegni qualcosa
anche a chi sarà l'ingegnere, l'architetto, l'assessore, il ministro
o l'insegnante del futuro.
Come avrete notato,
le iniziative ministeriali sembrano essere scomparse e, forse, è
proprio così. Mentre scrivo (2015) non c’è niente di più ufficiale di
una pagina del sito web del Ministero delle politiche agricole,
alimentari e forestali in cui si annuncia il progetto Orti nelle
scuole per l’anno scolastico 2014-2015. Esso dovrebbe coinvolgere
le scuole dell’infanzia e primarie e puntare a promuovere una sana
e corretta alimentazione. Non sembra poter aggiungere molto alle
iniziative già descritte e, soprattutto, pare in grande ritardo.
Per quanto riguarda
le indicazioni nazionali, la mia ricerca ha prodotto ben poco, almeno
con riferimento diretto all’orto.
Nelle indicazioni
didattiche per la scuola dell’infanzia (D.M. 3 giugno 1991) si
sottolinea come “i bambini soddisfano i loro bisogni esplorativi e
le loro possibilità conoscitive (…) svolgendo attività che
uniscono alla valenza scientifica un particolare carattere motivante
come, ad esempio, le attività di cucina, le esperienze di fisica
elementare con materiali diversi, le attività di interesse biologico
(semine, coltivazioni di piante e, in particolare, osservazioni e
riflessioni sugli animali, valorizzando con ciò la naturale tendenza
affettiva dei bambini)”.
Nelle indicazioni
didattiche per la scuola primaria del D.P.R. 12 febbraio 1985, n 104
c’è un riferimento a non meglio qualificate coltivazioni
scolastiche. Esse sono citate in questi due passaggi:
• “Un
frequente regolare controllo delle coltivazioni e degli allevamenti
scolastici ed extrascolastici, esplorazioni ambientali in autunno,
inverno, primavera, estate, semplici esperimenti metteranno in
evidenza le fondamentali condizioni per lo sviluppo e la
conservazione della vita”
• “Sarà
utile compiere brevi escursioni, preparate e guidate, in vari
ambienti e nelle varie stagioni, nonché riprodurre piccole comunità
naturali e curare allevamenti e coltivazioni, sia pure di modesta
entità”.
Nelle “Indicazioni
nazionali per il curriculo della scuola dell’infanzia e del primo
ciclo d’istruzione” del 2012, invece, tra gli obiettivi di
apprendimento della classe quinta della scuola primaria si trova il
seguente: “riconoscere, attraverso l’esperienza di coltivazioni,
allevamenti, ecc., che la vita di ogni organismo è in relazione con
le altre e differenti forme di vita”. Niente di simile sembra
esservi, invece, per quanto riguarda gli altri ordini e gradi della
scuola.
Interessante,
invece, è quanto sta accadendo in alcune regioni, come le Marche e
la Lombardia, che, pur secondo percorsi diversi, finanziano la
nascita di orti scolastici e propongono iniziative di formazione a
ciò finalizzate.
In particolare, la
Regione Lombardia finanzia gli orti didattici permanenti nelle
scuole, dall'infanzia alle secondarie di primo e secondo grado, che
si impegnano ad ospitare nei propri spazi esterni e ad utilizzare
nella programmazione didattica per cinque anni un orto di almeno 30
mq. Ad un sostegno economico per la realizzazione dei progetti si
aggiunge un servizio di accompagnamento da parte dell'ERSAF consistente nella realizzazione e gestione dell'orto e nella
fornitura di serra, composter, armadio per attrezzi e impianto di
irrigazione.
La Regione Marche,
invece, ha attivato il progetto “Ortoincontro” al quale ho la
fortuna di poter contribuire. Il progetto prevede varie azioni di
sostegno per la realizzazione di orti urbani e scolastici, oltre a un
percorso di orticoltura in carcere. Per le scuole sono previste due
azioni: un contributo economico per la realizzazione degli orti con
l’impiego di specie e varietà del repertorio della biodiversità
agraria regionale e uno specifico corso di formazione per insegnanti
ed educatori. Quest’ultimo mira a fornire conoscenze frutto tanto
di alcune eccellenze marchigiane, quanto esperienze di altre regioni.
E il futuro degli
orti scolastici?
A dire il vero, io
ritengo del tutto anacronistico parlare di orto scolastico preferendo
l'espressione orticoltura didattica a scuola. Essa va intesa come uso
dell'orto e delle sue tecniche per insegnare e apprendere a 360°,
andando oltre le regole agronomiche, l’educazione alimentare e
ambientale, pur senza perderle di vista. L'orto scolastico, talora
declinato in forme che quasi lo rendono irriconoscibile, diventerà
così un laboratorio all’aria aperta in cui riunire i saperi che la
scuola isola in discipline diverse per poterli ri-assortire,
valorizzare e utilizzare secondo schemi nuovi e supportati
dall'immediata applicazione dei saperi stessi. Quando dico saperi non
intendo semplici nozioni, ma un patrimonio di sapere, saper fare e
saper essere che credo essere uno dei contenuti minimi del bagaglio
culturale dei nostri figli in vista del futuro. Passare dal fare
l’orto a fare orticoltura didattica a scuola potrà essere una
delle innovazioni fondamentali nel rapporto tra orto e scuola. E’
su questo terreno che mi muovo da anni.
C'è un ultimo
tassello da aggiungere: le “mie” esperienze di orticoltura
didattica a scuola vogliono perdere l'aggettivo possessivo e divenire
condivise. E' per questo che è nato il sito www.ortiscolastici.it,
che esiste una pagina Facebook dedicata
(www.facebook.com/OrtiScolastici) e che continuo a fare i più
disparati sforzi per diffondere l'esperienza che porto avanti insieme
a tanti amici. Questa, io credo, dovrà essere una delle strategie
del futuro: i progetti che portano gli orti nelle scuole non potranno
rimanere esperienze circoscritte, ma dovranno trovare nella
condivisione e in una certa creatività dei percorsi il proprio
fondamento.